Per una volta il protagonista dell’episodio non è Trappolini ma Fausto Timento, uno dei due soci, con la collaborazione di un cliente abituale in vena di creare problemi. Alfio, questo il suo nome, era un soggetto molto particolare, una specie di grafico e designer che ci commissionava spesso lavori di immagine coordinata per terzi: biglietti da visita, buste commerciali, carta intestata ed altro, che venivano stampati su suo progetto, ritirati da lui e rivenduti “chiavi in mano” al cliente finale. Non lavorava neanche troppo male, ma i suoi esecutivi avevano un difetto: mancava sempre qualcosa. A volte non erano specificati i codici Pantone, altre volte non indicava il tipo e la grammatura della carta, altre ancora spediva la mail senza allegato, oppure dimenticava di convertire i testi in tracciati. Insomma, c’era sempre qualche cosa che non andava.

In un’azienda come la Stampaben non ci si poteva permettere il lusso di sbagliare: così, ogni qualvolta vedevo arrivare un ordine di Alfio, era per me quasi automatico prendere il telefono e chiamarlo, tanta era la sua metodicità nel dimenticare informazioni indispensabili per l’esecuzione del lavoro. La cosa strana è che – ogni volta – invece di scusarsi per la disattenzione rispondeva in modo seccato, quasi come fosse infastidito dalla mia solerzia. Dal canto mio non potevo fare diversamente: gli errori non venivano perdonati. Figurarsi poi se lo sbaglio fosse stato riconducibile a una telefonata non fatta o una mail non inviata: sarei stato convocato in direzione e strigliato a sale grosso per un’ora buona.

Il mio pragmatismo però, lungi dal portarmi complimenti e soddisfazioni, in quel frangente mi fu addirittura nemico. Una mattina Fausto Timento entrò nel mio ufficio, mani sui fianchi e colorito alterato: “Lo sai che per colpa tua abbiamo perso Alfio?”. Caddi letteralmente dalle nuvole, e chiesi al mio interlocutore di spiegarsi meglio. “Mi ha appena chiamato, e dice che non vuole più lavorare con noi. Si è lamentato del fatto che lo disturbiamo troppo con telefonate inutili, e lui non ha tempo prezioso da perdere!”. I miei tentativi di autodifesa furono pressoché inutili: Timento aveva il brutto vizio di ascoltare solo quello che gli faceva più comodo, e sebbene non arrivasse ai livelli di sadismo propri di Trappolini si compiaceva sempre parecchio nel distribuire qualche lavata di testa gratuita. In fondo, era un ottimo sistema per ridurre le velleità di miglioramento economico e gerarchico dei dipendenti: e costui non faceva nulla per smentire la sua proverbiale fama di “braccino corto”.

Avevo un forte sospetto, a proposito di questa storia, e ne ebbi la conferma dopo pochissimo tempo: in realtà Alfio aveva trovato un’altra tipografia, molto più economica della Stampaben, e per giustificare la sua dipartita aveva messo in piedi la pantomima fin qui raccontata. Come tante altre persone incrociate nel mio cammino, anche lui fece ciò che più gli conveniva senza pensare che un bravo impiegato avrebbe fatto una figura meschina davanti al suo datore di lavoro; e, come ovvio, una volta venuta a galla la verità non ricevetti la benché minima scusa, né da Timento né tantomeno da Alfio. Le persone “piccole” di solito restano tali per tutta la vita, e in quell’occasione ne ebbi la prova inconfutabile.

L'avvocato delle cause perse
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