Personaggi e contesto

Basta mobbing

 

Fausto Timento

Uno dei due soci della Stampaben. Quasi mai iracondo, ma scaltro e manipolatore: il suo personalissimo modo di mobbizzare i dipendenti era basato sulla menzogna sistematica, più che sull’offesa diretta. Capace di dare direttive (sbagliate) per un lavoro, far sparire la scheda e incolpare l’operatore del conseguente errore. Specialista supremo nell’indoramento della pillola, in particolar modo quando si trattava di licenziare qualcuno; gran Visir del rivoltamento della frittata, abilissimo nell’attribuire a chiunque (tranne che a sé stesso) i danni cagionati dalla sua totale mancanza di precisione e metodo.

 

Orlando Sfuriotti

L’altro socio. Il suo era un mobbing “old-style”, basato sull’aggressione verbale. Dotato di scarsa pazienza e ancor più scarso autocontrollo, appena qualcosa accennava a non andare nel verso giusto perdeva le staffe e iniziava a divorare chiunque gli capitasse a tiro. Quando si arrabbiava sul serio era meglio non trovarsi nelle vicinanze, e in tutta l’azienda echeggiavano urla e bestemmie di rara potenza espressiva. A parziale difesa dello Sfuriotti va però detto che, nei momenti di relativa calma, era l’unico capace di riconoscere un certo valore alle persone di merito; ed era anche l’unico che si rendesse conto delle difficoltà intrinseche di ogni lavoro. Questi pregi tuttavia perdevano di valore quando si dimostrava remissivo e accondiscendente davanti alle numerose, incaute, sciagurate scelte commerciali del socio. Tra i suoi appellativi, Urlando Sfuriotti e Orlando Sfurioso.

 

Adelmo Trappolini

Il peggiore di tutti. Non era socio dell’azienda, ma un dipendente come altri: tuttavia, in base a qualche misteriosa legge non scritta, aveva il permesso di insultare e maltrattare chiunque a suo piacimento. A differenza dei due titolari, uno bugiardo patologico e uno privo di autocontrollo, il Trappolini faceva del male agli altri in maniera mirata e premeditata, per il puro gusto di farlo. Dotato di un ego smisurato e di una perversa tendenza all’autocompiacimento, era alla continua ricerca di nuovi modi per umiliare il prossimo e sminuire la qualità del lavoro altrui; salvo poi prendersi i meriti quando le cose andavano bene e scaricare le colpe quando qualcosa andava storto. Un mobber da manuale, reso ancora più vile da un tipico comportamento di questi soggetti: essere sempre, costantemente, instancabilmente forte con i deboli e debole con i forti.

 

Chiara Timento

Figlia di Fausto, pericolosa quasi quanto il padre e inequivocabilmente dotata dello stesso DNA. Detta anche Salomè, perché correva voce che le teste cadute durante le purghe del 2014 fossero state decise da lei. Priva di qualsiasi talento, era però bravissima nel manipolare le cose a suo vantaggio, forte del fatto di essere figlia del capo e per questo intoccabile. Il tutto nella migliore tradizione di quelle aziende dove vige la più bassa forma di nepotismo.

 

Eva Sfuriotti

Figlia di Orlando. A differenza di Chiara, stava sulle sue e si accontentava dei suoi privilegi senza mai essere troppo fastidiosa per i colleghi. Lavorava pochissimo, e passava quasi tutto il tempo sui Social Network e a scrivere con lo smartphone; ma almeno provocava pochi danni all’azienda e solo raramente faceva pesare ai dipendenti il suo status. Usciva dal suo letargo solamente una volta all’anno, perché con la sua cerchia di amici organizzava un evento musicale, e tutto il personale doveva abbandonare seduta stante qualsiasi lavoro in corso per progettare e stampare il relativo materiale promozionale.

 

Pierluigi

Il ragioniere dell’azienda. Si trovava nella posizione meno invidiabile, tra l’incudine di un gruppo di persone vessate e il martello dei loro aguzzini. Dotato di una pazienza ascetica, oserei dire quasi mistica, riusciva quasi sempre a resistere alla quadrifonia di capi e capetti che litigavano tra loro a pochi centimetri dalle sue orecchie. Brava persona, educata e mai sopra le righe, sempre disponibile al dialogo.

 

Valeria

Segretaria bravissima e gentilissima, almeno fino al suo licenziamento. Vittima della grande epurazione dopo quasi due decenni di servizio pressoché impeccabile: più volte la vidi costretta ad aspettare in azienda clienti e fornitori fino ad orari impossibili, e altrettante volte ebbi modo di vederla sgridata dal Timento per qualche documento sparito (salvo poi scoprire che si trovava nel cassetto della scrivania del suddetto). È una delle persone che mi manca di più, forse perché abbiamo condiviso lo stesso, crudele destino.

 

Stefania e Roberto

Due tra le vittime preferite dei Timento e – soprattutto – di Trappolini: operatori di prestampa e composizione, quindi esposti al costante rischio di errori e refusi, il più delle volte dovuti all’eccessiva mole di lavoro e alla totale mancanza di organizzazione da parte delle cosiddette alte sfere. Svegli, veloci e volenterosi, erano praticamente gomito a gomito con me nel reparto grafico dell’azienda: e anche per questo potevo vedere con i miei occhi la quantità industriale di insulti e lisciate di pelo che dovettero subìre nel corso degli anni. Più di una volta cercai di difendere Stefania da attacchi palesemente ingiusti, col risultato di essere redarguito a mia volta con l’appellativo di “avvocato delle cause perse”. Ma questa è una storia che racconterò in uno dei prossimi articoli, con la necessaria dovizia di particolari.

 

Alessandro, Massimo, Gianni, Matteo e Nicola

Ovvero lo staff degli addetti alla stampa, alla fustellatura, alla confezione. Insomma, quelli che facevano il “lavoro sporco”. Tutte brave persone, tutti efficienti e responsabili, sebbene spesso ostacolati dai continui cambiamenti di programma imposti dai titolari. Se entro sera dovevano essere stampati tassativamente diecimila flyer, e Chiara Timento decideva che andava sospeso tutto per mettere in macchina le brochure della palestra del suo amico, si doveva fare e basta. Ovviamente poi ad essere strigliati erano i ragazzi, ma nessuno si sognava di incolpare la figlia del boss: pena il raddoppio della quantità di urli e improperi.

 

Federico e Marta

Due ex dipendenti della Stampaben, che a modo loro – e per motivi diversi – ebbero ruoli importanti nella mia sfortunata esperienza lavorativa. Il primo fu mio compagno di sventura in quello che ricordo come il “periodo delle scatolette”, del quale avrò modo di parlare più avanti. La seconda fu colei che innescò, forse involontariamente, pesanti rappresaglie nei miei confronti da parte della dirigenza dell’azienda, e di Trappolini in particolare. Argomento vasto e ricco di sfaccettature, che riprenderò più volte in questo sito.

 

Stampaben

L’azienda dove si svolgono tutti i fatti narrati: tipografia, litografia, stampa digitale e via dicendo. Il nome è di fantasia, come del resto tutti i nomi delle persone: anche se le brutture delle quali si sono resi responsabili meriterebbero punizioni esemplari, non ho voluto abbassarmi a ledere la privacy di chicchessia. I racconti invece sono tutti rigorosamente autentici, anche se a volte ho dovuto ritoccare alcuni dettagli per non svelare troppo sulla reale identità dei personaggi descritti. Trappolini, ad esempio, non era l’allenatore di una squadra di basket amatoriale, ma questa analogia mi ha permesso di imbastire la trama di un racconto legato alle attività extra-lavorative del suddetto.

 

Cittadella Marittima e San Rubicondo

Rispettivamente, la località sede della Stampaben e quella dove risiedo. Se non le avete mai sentite nominare è normale, sono toponimi inventati; tra di esse, ventisette chilometri e un confine di provincia. Ovvero il percorso che facevo giornalmente per recarmi al lavoro, mettendo ogni mattina la sveglia alle 5 per cercare di rendere inoffensiva la crudele dea sbendata della Sfiga, grande dispensatrice di gomme bucate, batterie scariche, ingorghi stradali, autostrade bloccate, scioperi dei benzinai, nevicate e mille altri spassosi contrattempi.