Una delle strategie di mobbing utilizzate da Trappolini era la “strigliata a sorpresa”. Si appoggiava a questa tecnica solo con pochi dipendenti della Stampaben, nello specifico quelli irreprensibili sotto ogni altro punto di vista (come il sottoscritto). Non potendo rinfacciare ritardi, assenze, errori o disattenzioni, imbastiva una querelle infinita su un qualsiasi argomento secondario e la portava avanti fino al parossismo; ricordo di aver subìto almeno una decina di questi attacchi laterali, ma uno mi è rimasto impresso in modo particolare per la sua vacuità: la battaglia delle schede di lavoro.

In sedici anni di lavoro alla Stampaben non ebbi modo di commettere il benché minimo errore, e il merito fu della precisione con la quale redigevo i miei appunti: a costo di dedicare dieci minuti in più alla definizione iniziale di un progetto, una mia scheda di lavoro doveva essere completa e chiara in ogni sua parte. Inserivo ogni scheda in una classica cartellina trasparente forata, e cercavo di mantenere l’ordine delle cartelline per priorità: in alto i lavori più urgenti, in basso quelli con i tempi di consegna più elastici. Quando, ogni mattina, mi recavo nell’ufficio di Trappolini per fare il punto della situazione, portavo con me un pacco di almeno venticinque – trenta cartelle: era il minimo indispensabile, perché erano compresi i lavori in corso d’opera, i lavori ricorrenti, i bozzetti preliminari suscettibili di modifiche, i progetti di Timento e quelli di Sfuriotti. Oltre, ovviamente, alla lista complessiva di tutto quello che dovevo fare.

Una bella mattina mi capitò la sventura della strigliata a sorpresa: probabilmente stanco di non riuscire a cogliermi in fallo su nulla, Trappolini indicò il plico di cartelle che tenevo sottobraccio ed esclamò: “non ti voglio più vedere con tutte quelle scartoffie!”. Era evidente che preparasse da tempo questa uscita, per il modo plateale – oserei dire teatrale – con il quale la mise in atto; colto alla sprovvista, cercai di difendermi argomentando nel modo più ovvio: “Adelmo, questi non sono solo lavori tuoi: se Fausto o Orlando capitano qui nel tuo ufficio, vogliono vedere una scheda e io non l’ho con me, si infuriano come iene”. Ma a lui non interessava nulla, ormai aveva dato corso alla sua crociata e nulla avrebbe potuto distoglierlo da essa. Neanche il buon senso, merce peraltro rara tra capi e capetti dell’azienda.

Bene: da quel giorno dovetti partecipare ai briefing mattutini portando con me al massimo cinque o sei cartelle; come era facile prevedere, spesso dovevo lasciare l’ufficio di Trappolini e andare al piano superiore a prendere una scheda mancante all’appello. Per mia somma fortuna, a partire da quel giorno ogni volta che Timento e Sfuriotti reclamavano la cartella di un loro progetto lo avevo con me; tranne in un’occasione, nella quale però Sfuriotti era meno arrabbiato del solito e me la fece passare liscia: forse perché aveva vinto la gara di tiro a volo della domenica precedente. Questa della strigliata a sorpresa potrebbe sembrare una tecnica di mobbing meschina, ma non è nulla se paragonata a quella del “body shaming”. Mai sentita nominare? Leggete l’articolo successivo.

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Body shaming