Come ho accennato negli articoli precedenti, una delle prerogative della Stampaben era quella di demolire sistematicamente l’autostima dei suoi dipendenti, in modo da poterli mettere in una condizione di continua inferiorità psicologica. Il re indiscusso di questa specialità era senza dubbio Trappolini, il quale traeva sommo piacere dalla vista dei subordinati in situazioni difficili e imbarazzanti, quando non addirittura disperate; esistono persone che ricevono soddisfazione nell’aiutare il prossimo, altre che semplicemente restano nel loro seminato senza interferire con le altrui esistenze, altre ancora che infliggono ferite senza rendersene conto, per pura e semplice ignoranza.

Trappolini no: a tutt’oggi, è la sola persona che abbia mai conosciuto capace di fare del male agli altri in modo deliberato e premeditato. Sfruttando una legge non scritta della Stampaben, si arrogava il diritto di trattare chiunque come gli suggeriva l’istinto: e tanto maggiori erano le oggettive capacità della vittima designata, tanto aumentava la sua sottigliezza nell’elaborare torture sempre più mirate. Aveva, in sostanza, due modi per portare a termine il suo scopo. Il primo consisteva nella cattiveria gratuita e immediata, quasi meccanica, soprattutto quando aveva bisogno di sfogarsi per la mancata riuscita di qualche suo affare extra-lavorativo: e in questi frangenti non era raro vederlo riprendere in modo plateale operai e impiegati, curando sempre di essere ascoltato da almeno uno dei titolari.

L’altro metodo era molto più subdolo e doloroso, per chi lo subiva: si trattava di una variante della tortura della goccia, ovvero piccole frasi taglienti ripetute in maniera quasi ossessiva. La mia personalissima frase, che avrò sentito almeno un migliaio di volte, era “premi un bottone”. Da quando ero entrato nell’organico della Stampaben, Trappolini aveva trovato in me una risorsa molto preziosa: ero in grado di ricostruire qualsiasi logo, marchio o scritta partendo da originali scadenti, sbiaditi, microscopici o incompleti. Non doveva più preoccuparsi di reperire files o esecutivi di buona qualità, tanto ci avrebbe pensato Davide a tirare fuori un vettoriale impeccabile da un francobollo o da un coriandolo.

Agli inizi questa mia capacità veniva addirittura apprezzata, incredibile a dirsi, da Trappolini. Ma i bambini si stancano presto del loro giocattolo, e quello che nei primi tempi era un mio punto di forza divenne presto una banalità di routine: spesso mi vedevo consegnare ritagli di giornale spiegazzati e scarabocchiati, dai quali dovevo estrapolare loghi di grande complessità, o ricostruire alfabeti completi partendo da tre o quattro lettere. Quasi sempre l’operazione era fattibile, ma spesso mi ritrovavo compiti degni della trama di Mission Impossible: e in quei frangenti mi permettevo di far notare a Trappolini che sarebbe stato necessario parecchio tempo, e che comunque avrebbe dovuto tentare di farsi consegnare un file esecutivo dal cliente.

Era la miccia che innescava l’esplosione: Trappolini non sapeva fare quasi nulla al computer, se non apportare leggere modifiche a impianti grafici già esistenti. Ma da qualche parte doveva aver sentito dire come i moderni programmi vettoriali fossero in grado di produrre esecutivi perfetti da una qualsiasi scansione, e per questo mi ripeteva continuamente “non lamentarti, tanto basta premere un bottone e fa tutto il computer”. Col tempo quello del bottone diventò un vero e proprio mantra, me lo diceva nel momento stesso in cui mi consegnava il materiale: “questo è il logo dell’azienda, lo metti nello scanner e premi un bottone”. Oppure, per estensione del concetto: “domani dobbiamo consegnare cinquecento brochure della Pincopallo, vai al computer e premi un bottone”.

Chi conosce il mio lavoro non ha bisogno di spiegazioni, sa benissimo di cosa sto parlando. Ma i “non addetti” devono sapere che la ricostruzione vettoriale di un logo (e parlo di una ricostruzione a prova di formato A1) è una complicata alchimia di grafica, geometria, matematica, senso delle proporzioni e conoscenza delle leggi che governano spaziature e allineamento dei font. Mi spiace dirtelo, Trappolini, ma premere un bottone non è affatto sufficiente.

Perché tutti questi straordinari?
La battaglia delle schede di lavoro