Mi chiamo Gabriele, ho quarant’anni e per molti versi la mia storia è molto simile a quella di Davide, l’autore di questo sito. Anche nell’officina dove lavoro l’atmosfera è spesso pesante, e il titolare ha la pessima abitudine di riprendere noi dipendenti, anche per motivi insignificanti, davanti agli occhi imbarazzati dei clienti. Nel corso del 2016 sono successe due cose secondo me molto gravi, a distanza di pochi mesi l’una dall’altra: subito dopo le ferie di agosto, il mio collega si fratturò un metatarso in seguito all’accidentale caduta di un semiasse da quasi due metri di altezza. E questo nonostante indossasse le scarpe antinfortunistiche previste dalla legge. Il nostro capo, invece di preoccuparsi delle condizioni del povero operaio, prima lo riprese severamente accusandolo di essere goffo e sbadato, poi lo obbligò ad andare al pronto soccorso dicendo di essersi fatto male a casa.

Durante l’assenza forzata del mio amico e collega, il titolare pensò bene di far venire a lavorare in officina suo figlio: un ragazzo poco più che maggiorenne, svogliato e disattento, di quelli costantemente appiccicati allo smartphone. E io ebbi la sventura di vederlo affiancato a me come aiutante: il problema era che suo padre pretendeva di vedere il lavoro di due persone, mentre il giovanotto era sempre in un angolo dell’officina a parlare al telefono o a digitare messaggi. In un paio di occasioni provai a riportarlo all’ordine, col solo risultato di venire insultato due volte: la prima dal figlio, che sosteneva di poter fare quello che voleva e che avrei dovuto tacere; la seconda dal padre, perché non mi dovevo azzardare a trattare male il ragazzo. La storia andò avanti quasi tre mesi, durante i quali non sapevo più come comportarmi: e ne risentii pesantemente a livello fisico e psicologico, perché iniziavo a non dormire più, ad essere sempre teso e irritabile e ad avere mal di stomaco ogni volta che mettevo piede in officina.

Per fortuna verso la fine di novembre il mio collega tornò al suo posto, anche se ancora un po’ zoppicante, e le cose ripresero ad andare come prima dell’incidente: il figlio del titolare ricevette, oltre allo stipendio, un viaggio premio di un mese in Messico, dopo il quale fortunatamente non si fece più vedere in officina. Io invece rimasi segnato da quel periodo, e impiegai altri tre mesi per ricominciare a dormire normalmente e a mangiare senza sentire di dover vomitare. Ora posso dire di stare bene, ma voglio mandare un messaggio a tutti i datori di lavoro: ricordate che i vostri figli e i vostri parenti non possono essere privilegiati rispetto a chi si spezza la schiena per lavorare sul serio. Anzi, proprio perché favoriti dalla sorte devono imparare che il lavoro è fatica, e che ogni dipendente dell’azienda merita sempre e comunque rispetto per quello che fa.

Gabriele

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