Primo impiego, sposata e in età fertile: peggio di così…

 

Personaggi e interpreti:

Alba Radiosa: 19enne neodiplomata perita aziendale e corrispondente in lingue estere, in cerca del fantomatico primo impiego.
Aziende: A, B, C, D, E, F eccetera (destinatarie dei Curricula che avevo presentato).
 

I fatti:

Fresca della conquista del diploma pensavo che bastasse rispondere alle inserzioni di offerte di impiego per essere, prima o poi, assunta, (si era in anni in cui si trovava facilmente un lavoro).
Nella mia ingenuità non capivo di essere portatrice sana di una patologia gravissima e inguaribile che mi avrebbe perseguitata per almeno 40 anni: ero femmina e probabilmente fertile!

Dopo una decina di colloqui che terminavano con la fatidica frase: “lei andrebbe benissimo, ma purtroppo siamo una piccola azienda e non possiamo permetterci di assumere una persona che rischiamo di veder sparire e non riapparire più per oltre un anno” iniziai finalmente a rendermi conto di essere pericolosa come un’attentatrice dotata di cintura esplosiva ventrale. Portavo infatti un ventre, al momento deserto, ma in grado di ospitare un embrione che si sarebbe sviluppato dando luogo ad un neonato fonte di ripetute assenze sia prima che dopo la nascita. Non aveva nessuna importanza il mio voto di diploma, la conoscenza di due lingue e della contabilità generale: tutto questo scompariva di fronte al fatto che ero quasi sicuramente fertile.

Dopo sei mesi di delusioni decisi di attuare una strategia che, ritenevo, mi avrebbe resa più assumibile: alla fine del colloquio, quando partiva l’audio della frase fatidica, estraevo dalla borsa un foglio che pregavo il mio interlocutore di leggere. In quel foglio presentavo le mie dimissioni immediate motivandole con “motivi personali”, ringraziando per il periodo positivo trascorso nei ranghi aziendali. La cosa che, a mio parere, doveva essere interessante era che la mia lettera di dimissioni era già firmata da me e non recava alcuna data. In qualsiasi momento il datore di lavoro avrebbe potuto metterci la data che voleva e darle corso lasciandomi a casa come “dimissionaria”.

Nella mia disperazione non avevo pensato che questa lettera di dimissioni sarebbe stata accolta con terrore: “no, impossibile, se poi lei cambia idea ci fa ugualmente una tirata dai sindacati!” Ero sul punto di arrendermi quando il titolare di una piccola azienda che produceva biancheria intima per signora decise di darmi fiducia. La fiducia non arrivava ad accettare il rischio-esplosione della gravidanza, ma a me andava bene ugualmente perché avevo ormai capito che quella era la sola realtà lavorativa a mia disposizione. Finalmente avevo un lavoro, a 20 minuti da casa, nel tipo di azienda che preferivo (familiare), con mansioni che avrei ampliato man mano che mi impratichivo e con solo il datore di lavoro a cui dover fare riferimento.

Unico neo: il lavoro era in nero. E questo mi sarebbe costato 8 anni di contributi.

Alba Radiosa

La storia di Gabriele