Il mio tentativo di aprire un’attività in proprio fu funestato da una serie infinita di problemi, e questo fin dai primissimi giorni di apertura: uno dei motivi che mi convinse a fare il grande passo, nonostante la mia scalcinata situazione economica, fu la presunta disponibilità di fondi pubblici a favore delle giovani imprese. Il mio socio ed io chiedemmo un fido in banca ed acquistammo tutte le attrezzature necessarie, accantonando tutte le fatture per poi richiedere il fantomatico finanziamento: si era nella seconda metà degli anni ottanta, e come per magia tutti i fondi vennero dirottati alla ricostruzione dell’Irpinia proprio nell’esatto momento in cui inoltrammo la nostra richiesta. Ci trovammo così a dover coprire un fido di quindici milioni del vecchio conio, ad un tasso di interesse di poco inferiore alla soglia dell’usura.

Lo studio Grafite, questo il nome dell’attività, non nacque sotto una buona stella. Poco dopo il difficile esordio appena narrato, il mio socio ed io cominciammo ad avere dei disaccordi sulla linea commerciale da seguire, che sommati ad altre divergenze portarono alla separazione dopo neanche un anno dall’apertura. Nel frattempo eravamo riusciti a chiudere il fido grazie a sacrifici inenarrabili e rinunciando a tutto: da bravo masochista decisi di continuare a lavorare da solo, e mi trovai nuovamente a dover sborsare fiumi di denaro per liquidare il mio socio. Non potevo chiedere aiuto ai miei genitori, i quali d’altra parte erano venuti a conoscenza della mia follia solo dopo diversi mesi, e se riuscii a non affondare fu solo grazie a un cugino di mia madre. Mi prestò sette milioni di lire, che restituii esattamente un anno dopo con il 10% di interessi, sebbene lui non me li avesse richiesti.

Come recita l’antico adagio, “la fortuna gira”, quindi in linea teorica avrei dovuto aspettarmi un miglioramento delle cose, dopo le due pesantissime mazzate iniziali. Invece durante l’estate del 1988 fui vittima di una truffa epocale. Tramite un ditta di arredi per ufficio con la quale collaboravo, entrai in contatto con i titolari di un’attività che stava aprendo i battenti in quei giorni: il negozio sarebbe stato suddiviso in due parti, una per la vendita di pelletteria e una destinata a prodotti di elettronica come impianti Hi-Fi, televisori, autoradio et similia. Già questo anomalo abbinamento merceologico avrebbe dovuto insospettirmi, ma avevo bisogno di lavorare e non mi posi troppe domande. La nuova attività aveva bisogno di loghi, biglietti da visita, carta intestata, buste commerciali, fatture, bolle, cartellonistica e tutto quanto solitamente contemplato nella voce “immagine coordinata”.

Lavorai al progetto per l’intero mese di luglio, praticamente senza mai alzare la testa dal tavolo da lavoro: all’epoca il computer e i programmi di grafica erano un lusso abbordabile solo dagli studi affermati, mentre noi piccoli dovevamo darci da fare con china, aerografo, markers Pantone, caratteri Letraset e cartoncini Bainbridge. Riuscii ad ottenere un acconto di 500.000 lire, ma al tempo stesso commisi l’imperdonabile errore di far stampare personalmente tutto il materiale, comprese le insegne. La mia fattura finale fu di circa due milioni e mezzo più IVA, con pagamento a un mese: ovviamente sto parlando sempre delle vecchie lire, quindi si trattava di cifre non astronomiche ma pur sempre importanti, per una piccola attività individuale.

In una notte di metà agosto, il fattaccio: dopo aver rifornito il negozio di pregiati giubbotti di pelle, borse firmate, costosi impianti stereo e televisori di alta qualità, la banda riempì un camion con tutta la merce e sparì nel nulla. Biglietti da visita, buste, insegne e quant’altro servivano solo per procurarsi una certa credibilità verso i fornitori: io ci rimisi un paio di milioni, ma chi andò veramente male furono i grossisti di abbigliamento ed elettronica che si videro sparire merce per centinaia di milioni. Per mia fortuna la tipografia e la fabbrica di insegne capirono la situazione e mi perdonarono, anche se avrebbero avuto facoltà di chiedere a me il saldo del materiale consegnato; ovviamente scattarono le denunce e le indagini del caso, ma com’era facilmente prevedibile non venne mai rintracciata né la banda né tantomeno la preziosa refurtiva.

La maledizione dei figli di papà
Annus horribilis