Per percorrere ogni giorno i 27 chilometri che separano San Rubicondo da Cittadella Marittima avevo a disposizione un unico mezzo: una vetusta Lancia Delta del 1987, coraggiosamente funzionante a dispetto degli oltre duecentomila chilometri che aveva all’attivo. Nella migliore tradizione dei trasporti pubblici italiani, non esistevano autobus che coprissero quella tratta; e per quanto io sia sempre stato amante dell’esercizio fisico, non me la sentivo di azzardare l’uso della bicicletta per un percorso di quella lunghezza. L’acquisto di un’auto nuova o di uno scooter era fuori discussione, specialmente nei primi anni 2000: l’avvento dell’euro aveva sostanzialmente dimezzato le entrate di chiunque avesse uno stipendio fisso, e i miei pochi risparmi erano ormai interamente destinati alle spese preliminari per l’acquisto della casa.

Nell’estate del 2002, mentre mi trovavo – scherzi del destino – proprio a Cittadella Marittima con la mia compagna, sentii il cambio indurirsi in modo anomalo. Accostai appena possibile, e nell’inserire la retromarcia per parcheggiare l’auto in modo decente udii un distinto rumore di organi meccanici sbriciolati. Scesi dall’auto, e guardai subito sotto di essa: una chiazza d’olio si stava espandendo velocemente sull’asfalto della piazzola. Realizzai che non si trattava di olio motore, ma del fluido lubrificante del cambio: un danno gravissimo. Feci immediatamente due telefonate: la prima alla Polizia Municipale, per avvertirli del fatto che era necessario spargere segatura o filler sull’asfalto. La seconda al fratello della mia compagna, pregandolo di venire a prenderci.

Era domenica, quindi dovetti aspettare il giorno successivo per fare la terza telefonata: chiamai l’autodemolizione indicando il punto dove si trovava la vettura. La mia Delta era alla fine della sua vita: anche spendendo una cifra importante per sostituire il cambio, sarebbe comunque rimasta un’auto non più sicura e poco affidabile. Avrei dovuto rifare le sospensioni, la guarnizione della testata, la frizione, il radiatore del riscaldamento e un’altra mezza dozzina di interventi impegnativi. Non ne valeva davvero la pena, e decisi su due piedi di celebrare il funerale della mia Lancia: alla Stampaben, pensavo, faremo una chiacchierata e troveremo un sistema per non farmi restare a piedi. Ah, quanto mi sbagliavo!

Alla Stampaben non erano ammesse assenze, se non in caso di invasioni aliene, epidemie di colera o morte del dipendente. Il giorno dopo il fattaccio escogitai un sistema per recarmi comunque in azienda: portai la mia compagna al lavoro con la sua auto, e con quest’ultima mi recai poi a Cittadella Marittima: a causa di questo deviazione i chilometri non erano più 27 ma quasi 40, ma tirai comunque un sospiro di sollievo perché non sarei stato redarguito per un’assenza; capi e capetti della Stampaben abitavano tutti a poca distanza dalla ditta, e comunque disponevano di intere flotte familiari di automobili, motociclette e scooter: non avrebbero mai compreso lo stato di difficoltà nel quale mi trovavo in quel momento.

Appena giunto in azienda misi al corrente dei fatti Timento e Trappolini; per usare un eufemismo, dirò che furono pochissimo interessati alla cosa. Prospettai loro una serie di soluzioni: un piccolo prestito per procurarmi un’autovettura provvisoria, l’uso temporaneo di uno dei loro mille veicoli, la possibilità di lavorare a casa almeno un paio di giorni la settimana. Niente da fare: l’unica cosa che mi proposero fu l’uso di una ex macchina aziendale parcheggiata in un angolo del piazzale. Era talmente malridotta e bisognosa di riparazioni che la mia vecchia Delta – in confronto – era una Aston Martin appena uscita dalla fabbrica. Avrei dovuto spendere migliaia di euro per rimetterla in sesto, ma a quel punto mi sarebbe piuttosto convenuto riparare la Lancia: almeno sapevo di quali interventi aveva bisogno e come era stata usata fino a quel giorno.

Questo calvario durò un anno e mezzo, e andò a sovrapporsi con precisione al periodo delle scatolette (vedi l’articolo precedente). Ogni giorno portavo la mia pazientissima compagna al lavoro, andavo alla Stampaben, mi facevo le mie otto ore senza pausa e tornavo a prendere la mia compagna nel tardo pomeriggio. Forse uno dei momenti più brutti e difficili della mia esperienza lavorativa, aggravato dal fatto che ogni mia richiesta di aiuto veniva snobbata, se non derisa, dai miei generosi superiori. Trappolini non mancava di ricordarmi quasi ogni giorno quanto abitasse vicino all’azienda, e che sarebbe potuto venire al lavoro anche a piedi; tra l’altro disponeva di un’auto aziendale che usava tranquillamente anche la sera, il sabato, la domenica e durante le ferie: solo una volta mi permise di usare questo mezzo per andare a casa, in un’occasione nella quale anche l’auto della mia compagna era rimasta in panne.

Nel febbraio del 2004 riuscii finalmente ad acquistare una macchina decente: ovviamente usata, ma si trattava di una buona Ford Focus del 2000 (che possiedo tuttora) che mi permise di far tornare me, e soprattutto la mia compagna, ad una vita quasi normale. Di lì a pochi mesi sarebbe arrivata un’altra pesantissima mazzata, ma di questo parlerò nell’articolo successivo.

Il periodo delle scatolette
Perché tutti questi straordinari?